Jasmine Dotti : RHCBK9

testo (versione Italiana) : Jasmine Dotti - photo : Gophrette Power

 

La mia Redhook inizia giovedì alle 7.00 quando suona la sveglia. Se non consideriamo l'impacchettamento delle bici della sera prima, ma quello l'ha fatto il mio fidanzato, mentre io correvo avanti e indietro in bagno. Quindi non lo contiamo! Da lunedì ho un forte virus intestinale che non mi permette di tenere nello stomaco niente. Volevo arrivare pronta alla redhook non alla prova costume! La colazione fortunatamente rimane al suo posto, finalmente! Il volo è alle 10.20 - 9h e 30 di volo, jet-lag di sei ore, un gruppo di ragazzi con gli zaini in spalla e una borsa della bici in mano, che non vedono l'ora di arrivare.

Una volta arrivati a New York la mia prima impressione, io che sono abituata a sentire parlare gli inglesi, è che gli americani parlino inglese, è vero, ma con una patata in bocca. La seconda, dopo aver visto il taxi che ci accompagna a casa e il panorama dal finestrino, è che tutto qui è più grande. Macchine più grandi, case più grandi, strade più grandi, palazzi...no aspetta..qui sono grattacieli! Questi quattro giorni soggiorneremo a Brooklyn nel quartiere cinese. Quello che quando dici l'indirizzo al tassista chiede di ripeterlo per essere sicuro di aver capito bene, e la sua faccia dice ciò che in realtà pensa. Nel nostro appartamento siamo in quattro, con quattro bici, in una stanza. Ci sarà abbastanza aria per tutti? La sera tentiamo di mangiare qualcosa in un ristorante che sembra essere cinese, ma cucina coreano. Io mangio del semplice riso bianco, di quello che sembra colla, talmente tanto da riuscire a creare un tappo nel mio stomaco. Missione compiuta. Siamo tutti distrutti e alle 8.30 siamo già a letto. Alle 4 di mattina, tutti e quattro, siamo svegli. Maledetto jet-lag. Alle sei siamo alla ricerca, per le strade cinesi, di qualcosa che somigli ad un bar. Partiamo per un giro in bici per le strade di New York, essere con una fixed nel traffico della grande mela è stata una delle cose piu impegnative mai fatte, insieme al guidare a destra negli uk. Però ne è valsa la pena, credo che chiunque vorrebbe essere col proprio fidanzato e con un amico in giro per le strade di New York come dei turisti e a farsi fermare dalla polizia eheheh.

Sabato mattina. Oggi si corre la redhook, la mia seconda redhook, la mia quinta gara con la bici a scatto fisso. Raggiungiamo il percorso in bici, rischiando la vita in qualche incrocio un po' troppo affollato. Qualifiche. Tocca a me salire sui rulli, il mio fidanzato mi da il cambio. Salgo, penso costantemente che sarà difficile ma non impossibile. Credo. Credo anche che difficilmente riavrò l'occasione di fare i rulli vedendo la statua della libertà. Iniziamo a girare, ho una prima impressione sul percorso: odio il primo airpin a destra, soprannominato poi l'airpin di merda. Nel quarto d'ora in cui si può fare il tempo non trovò nessuna ragazza abbastanza lanciata a cui aggregarmi. Mi qualifico col 12 tempo, come a Milano, dai vorrà pur dire qualcosa no? Per pranzo il solito riso dal cinese all'angolo appena fuori dal percorso. Tutto nero, vedo tutto nero, sono sdraiata nel paddock con l'asciugamano in testa cercando un po' di buio. Cercando le forze perse, non nelle qualifiche, ma nei giorni precedenti. Rulli. Rulli. Rulli con intorno persone che ti parlano, ti fotografano. Alla redhook è tutto bellissimo, il clima, le persone che disegnano il contorno del percorso dietro alle transenne. Persone che non ti conoscono, che conoscono ben pochi atleti, ma che, per una sera, vengono coinvolti da questo spettacolo adrenalinico.

È ora, un bacio, controllo bici. Siamo in griglia, pronte a scattarci in faccia, a chiuderci in curva, a fare soffrire le avversarie. Durante il giro di prova viene la pelle d'oca.  Tutti gridano, tutti sono pronti a vederti sfrecciare per i 22 giri in programma. Siamo tutte dietro a Trimble, con speranze, condizioni fisiche e ambizioni diverse. Sono lì, con la ruota sul numero 12, con i gomiti sul manubrio ad aspettare. Non so cosa aspettarmi, se fino a domenica avevo delle certezze, ora non le ho più. Guardo avanti. Meno due minuti. I fotografi iniziano a spostarsi.

Meno un minuto. Trenta secondi. Il rumore intorno inizia a svanire, non so se sia solo una mia impressione o sia proprio così. Venti secondi. Dieci. Alcune ragazze iniziano a sedersi sulla sella lasciando appoggiato solo un piede. Tre, due, uno. VIA. Proprio come a Milano, quando corro con questa bici, riesco a sentirmi bene. Ho questa sensazione di sentirmi al posto giusto, sicura, sento qualcosa che dice "questo è quello che so fare", indipendente poi dal risultato. Sono sempre nelle prime cinque posizioni, inizio a sperare di farcela comunque. Si va forte, scattano, scatto. Airpin, curve fatte senza pensare. Il pubblico grida, suona le campane, ti incita ad andare più forte. Tutto svanisce a quattro giri dalla fine quando un crampo fortissimo non mi permette più di pedalare. Sì, ho pensato "cosa faccio adesso? Non posso smettere di pedalare, nè frenare". Mentre raggiungevo la via di fuga tutti applaudevano. Tutti avevano una parola, detta nella propria lingua, per la piccola ragazza con la treccia bionda che fino a pochi secondi prima era davanti a darsi battaglia. Esco dalla via di fuga, il giro dopo cadono. Se vogliamo vederla dal lato positivo... Sono dalla parte opposta delle transenne a guardare la gara degli uomini, faccio parte delle persone che grida, tifa, ad ogni passaggio. Con la differenza che io ho un nome da gridare. 

Finita la gara ritorniamo tutte amiche, amici e ci riuniamo quasi tutti all'after party. Questo è il fantastico spirito delle fixed, completamente diverso dalle gare in strada. A casa riusciamo a tornare alle 6.00, in bici, di notte, dopo un ora e mezza passata a girare per le strade di Brooklyn. Salita e discesa, semafori, incroci. Domenica sera. Siamo in aereo porto. Sono seduta su uno sgabello, dal vetro che ho davanti vedo l'aereo su cui salirò tra poco. Davanti a me un hamburger mangiucchiato. Sembra il mio stato d'animo attuale, il morale mangiucchiato dalla delusione di non essere riuscita a fare ciò che ero sicura di poter fare fino a pochi giorni prima. Un abbraccio mi salva dai miei pensieri. Forse è questa la vera fortuna, avere al fianco una persona con cui dividere tutto, che non mi lascia mai sola. L'aereo decolla.

Ciao New York, è stato comunque tutto bellissimo...


Jasmine Dotti : RHCBK9

texte (version Française) : Jasmine Dotti - photo : Gophrette Power

 

Mon Red Hook Crit commence jeudi à 7:00 lorsque mon réveil sonne. Je ne compte pas l’emballage du vélos la veille au soir. Mais c’est mon copain qui l’a fait avec le sien pendant que je me préparais dans la salle de bain. Depuis lundi, j’ai une forte douleur à l’estomac, ce qui ne m’empêche de garder quoi que ce soit. Mais ce n’est pas possible de faire cette course à moitié, je dois être totalement prête. Ce matin, le petit déjeuné reste finalement bien en place. Notre vol est à 10:20, neuf heures et demi de vol, décalage horaire de six heures. Nous sommes comme des enfants, avec nos sacs et boites à vélos, très impatients d’arriver. En général je suis habituée à entendre parler anglais, mais ma première impression une fois arrivée à New York est que les Américains ont tous une patate dans la bouche. La seconde, est pendant le trajet vers notre appartement, le spectacle des rues de New York à travers les fenêtres du taxi est juste énorme, tout est immense ici : les voitures sont plus grandes, les maisons sont plus hautes, les routes sont plus larges mais le traffic est malgré tout fluide… Et bien sûr les fameux gratte-ciels !

Nous allons passer quatre jours dans le quartier de Brooklyn. L’appartement ne comporte qu’une seule pièce et nous sommes quatre avec quatre vélos. Y aura t’il assez d’air pour tout le monde?!? Le soir nous avons mangé de la cuisine coréenne dans un restaurant qui semblait chinois. J’ai choisi du riz blanc, quelque chose de collant et gluant qui pourrait créer un bouchon dans mon estomac ;) Mission accomplie. Mais dès 20:30 tout le monde est fatigué et nous sommes au lit mais réveillés vers 4:00, zut le Jet-lag !!!! Dès 6:00, nous partons à la recherche d’un restaurant à travers les rues du quartier, pour ensuite rouler dans les rues de New York. Je dois avouer que les rues de la Big Apple en pignon fixe a été l’une des choses les plus difficiles que j’ai eu à faire, comme rouler à droite en Angleterre. Mais ça valait le coup, je pense que tout le monde doit faire le touriste dans les rues de New York avec ses amis… Et aussi se faire arrêter par la police, hé hé hé. 

Samedi matin : « It’s a Crit Day » Mon deuxième Red Hook Crit et ma cinquième course en pignon fixe, sans freins. Nous arrivons sur les lieux de la course, après quelques sensations fortes dans le traffic au péril de nos vies, il y a beaucoup de monde.

Les qualifications : C’est à mon tour de m’échauffer sur les rouleaux, mon copain me laisse prendre sa place.  Je monte sur mon vélo, je pense constamment que ce sera difficile, mais pas impossible. Ça n’arrive quand même pas souvent de faire du rouleau avec une vue directement sur la Statue de la Liberté. Premier tour de piste, je fais vite mes repères et impressions sur le parcours. Je déteste le Airpin, surnommé « Airain Di Merda ». Je me qualifie avec le douzième temps, comme à Milan l’année dernière. Je suis dans la moyenne et donc assez contente de ce résultat. Au moment du repas, je choisi encore du riz au restaurant du coin.

Tout est noir, je ne vois que du noir. Je suis allongée au sol avec une serviette sur la tête. J’essaie de me relaxer, de retrouver les forces perdues lors des qualifications et les jours précédents. Rouleaux, rouleaux, rouleaux je suis entourée de gens qui m’observent et me prennent en photo. L’heure de la course est arrivée, nous sommes sur la grille de départ, je suis prête à en prendre plein la face, à me coucher dans les virages et à faire souffrir mes adversaires. J’ai la chair de poule pendant le tour d’honneur. La foule hurle, elle est prête à nous voir effectuer les vingt deux tours. Nous roulons derrière David Trimble, le directeur de course, avec des espoirs, des ambitions et des aptitudes physiques différents. Nous y sommes. Ma roue avant sur la marque du numéro douze avec les coudes sur mon guidon, j’attends. Je ne sais vraiment pas à quoi m’attendre, jusqu’a dimanche dernier, j’étais confiante mais maintenant, je doute. Je regarde devant moi, plus que deux minutes. Les photographes qui inondent la ligne de départ commencent à libérer la place. Plus qu’une minute… Trente secondes. Progressivement, le bruit commence à s’estomper autour de moi. Je ne sais pas si c’est réel ou si j’hallucine. Vingt secondes… Dix. Certaines filles commencent à prendre la position de départ, ne laissant qu’un pied au sol. Trois, deux, un…. VIA !!!

Comme à Milan, au moment de me lancer je me sens très bien. J’ai le sentiment d’être à la bonne place, bien sûr il y a cette petite voix qui me dit « voilà ce que tu peux faire indépendamment des résultats ». Je suis dans le top cinq, je commence à espérer réussir ma course, je passe les courbes sans y penser. La foule hurle, fait du bruit et ça me pousse à aller plus vite. Mais à quatre tours de la fin, une crampe me saisie et me bloque, je me demande quoi faire? Je ne peux pas arrêter de pédaler et ni m’arrêter. Tandis que je quitte le parcours par la sortie, tout le monde m’applaudit et m’adresse un mot dans sa langue. Je sors juste avant le crash et je m’efforce de regarder le coté positif de ma course.

Ciao New York, è stato comunque tutto bellissimo...